TESTA.ROMA

47. ROMA (Italia) dal 18 al 25 giugno 2000

Anno Santo del Grande Giubileo

Organizzato da: Card. Camillo Ruini, Vicario di Sua Santità per la Diocesi di Roma

Presidente: Sua Santità Giovanni Paolo II.

Segretario generale:  Mons. Francesco Marinelli

Tema:

Gesù Cristo unico Salvatore del mondo, pane per la nuova vita.

Nel cuore del Giubileo

    Nell’immediata vigilia del Congresso eucaristico internazionale, seduto a mensa con i poveri scelti dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Caritas di Roma, Giovanni Paolo II aveva detto: «Ho voluto incontrarvi, condividere con voi la mensa per dirvi che voi siete nel cuore del papa... vorrei avvicinarmi a ciascuno per dirgli: non sentirti solo, perché Iddio ti ama. Il Papa vi vuole bene... e con lui la chiesa intera vi spalanca le braccia dell’accoglienza e della fraternità».

    E poi, con esplicito riferimento al Congresso eucaristico, aveva aggiunto: «Di questo evento spirituale, che costituisce il cuore dell’anno giubilare, il nostro pranzo nella sua semplicità rappresenta una significativa preparazione. Quest’oggi, infatti, ci troviamo intorno alla mensa materiale; insieme e ancor più numerosi ci accosteremo... a quella spirituale, al banchetto dell’eucaristia per celebrare l’amore di Dio che ci rende fratelli e solidali gli uni degli altri».

    Così, nella fresca sera romana di domenica, 18 giugno, Giovanni Paolo II si inginocchia sul sagrato della basilica vaticana davanti al SS.mo Sacramento, nel corso della celebrazione dei Vespri della SS. Trinità.

    E ai 50mila pellegrini presenti dice: «La Chiesa in questi giorni torna nel cenacolo e vi rimane in pensosa adorazione. Rivive il grande mistero dell’Incarnazione, concentrando il suo sguardo sul Sacramento in cui Cristo ci ha consegnato il memoriale della sua Passione». Subito dopo nota anche che «divisioni e contrasti lacerano ancora il corpo di Cristo ed impediscono ai cristiani di diverse confessioni di condividere l’unico Pane eucaristico. Per questo invochiamo uniti la forza risanatrice della divina misericordia, sovrabbondante in quest’Anno giubilare».

    Le parole del papa cadono in una piazza gremita dal popolo delle Confraternite che sono giunte a San Pietro dopo aver percorso la città con i caratteristici gonfaloni dedicati al culto eucaristico e mariano. Davanti alla Basilica vaticana il colpo d’occhio è formidabile: preziosi crocifissi, in legno e argento, risalenti al ‘400 e al ‘500 e divise d’ogni foggia e colore. La festa che riunisce «attorno all’eucaristia vescovi, sacerdoti, religiosi e laici d’ogni parte del mondo...», si trasforma in una straordinaria esperienza di fede e di comunione ecclesiale.

    «Il Duemila non può che essere un anno “intensamente eucaristico”», aveva anticipato il papa all’Angelus dello stesso giorno.

 

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Partecipanti alla celebrazione di apertura del Congresso di Roma in PIazza San Pietro

 

L’Eucaristia nel mondo

    I lavori congressuali, intessuti di catechesi, testimonianze e celebrazioni, prendono avvio nella mattinata di lunedì 19 giugno con il cardinale vicario, Camillo Ruini, che in una solenne concelebrazione a San Giovanni in Laterano, spiega il particolare significato del 47° Congresso eucaristico internazionale: «È un grande segno del respiro universale della Chiesa e della sua unità… Unità – ha proseguito – realizzata con la incarnazione e che si sublima come eterna alleanza con il sangue della Croce». Nella basilica lateranense partecipano, attenti, oltre duemila fedeli provenienti da ogni parte del mondo.

    Alla celebrazione fa seguito il resoconto degli itinerari preparatori attuati nei cinque continenti. Monsignor Peter Sarpong, vescovo di Kumasi in Ghana, ha portato la testimonianza dell’Africa, «tuttora afflitta da terribili conflitti etnici». In questa situazione il compito dell’Eucaristia è quello di «edificare la Chiesa come famiglia, superando gli etnocentrismi, favorendo invece la comunione fra i diversi gruppi». E non esita, monsignor Sarpong, a definire l’Eucaristia «fonte di salvezza per l’Africa». Nella tradizione africana – spiega ancora – ci sono molti simboli di unità, come ad esempio il cosiddetto “patto di sangue”, che unisce le persone più del vincolo parentale. «La descrizione dell’Eucaristia come patto del Nuovo Testamento è, dunque, una cosa importante e comprensibile per gli africani».

    L’arcivescovo di San Salvador da Bahia (Brasile), mons. Agnelo Geraldo Majella, racconta qualcosa di simile per il continente americano: «La celebrazione eucaristica è punto di arrivo e punto di partenza di tutto ciò che la Chiesa realizza». Ricorda i chilometri che percorrono a piedi i fedeli dei villaggi rurali del Brasile per partecipare ala messa domenicale e assicura che, per tutti, essa diventa «il momento per annunciare la fede cristiana al mondo». Nella realtà latino-americana «il senso della pietà eucaristica – spiega ancora il vescovo – è molto sviluppato... (Anche) nella solitudine degli agglomerati urbani, nelle periferie delle nostre grandi città, segnate dalla massificazione e dalla spersonalizzazione degli emarginati; l’esperienza religiosa rinvigorisce la resistenza della nostra gente nella fiducia in Dio che cammina con il suo popolo, e non lo abbandona mai».

    Dell’Asia ha parlato invece mons. Diosdato Talamayan, arcivescovo di Tuguegarao, nelle Filippine, facendo riferimento alle difficoltà economiche del continente, frutto – spiega – della corruzione, che spinge nella povertà la gran parte della popolazione: questo rende ancora più irrinunciabile la missione della Chiesa «a beneficio dei poveri, della giustizia, della pace, della libertà e del rispetto dei diritti umani». Monsignor Talamayan ha poi raccontato il fiorire di iniziative, nei vari paesi asiatici, per richiamare la centralità dell’Eucaristia nell’Anno santo. L’arcivescovo elenca le diverse iniziative promosse in Corea, Giappone, Cina, Filippine, Malesia, Indonesia, Sri Lanka, Bengala, Pakistan, India in vista del Congresso eucaristico internazionale. Manifestazioni che sono un «chiaro segno del desiderio di una centralità dell’eucaristia».

    L’arcivescovo lituano di Kaunas, mons. Sigitas Tamkevicius, ricorda i tempi, neanche tanto lontani, in cui le comunità cristiane dell’Europa dell’Est erano perseguitate: «Le chiese erano chiuse, e i tanti preti che si rifiutavano di collaborare con il regime comunista venivano imprigionati». Sacerdoti perseguitati e condannati per la preparazione dei fanciulli alla prima comunione, per la “pretesa” di «testimoniare l’insostituibile valore dell’Eucaristia nella vita dell’uomo… A chi oggi mi chiede come imparare a rispettare l’Eucaristia, rispondo con umorismo che la prigione sovietica è molto utile per questo – aggiunge mons. Tamkevicius –. La libertà riscoperta da dieci anni ha dato ai credenti la possibilità di praticare pubblicamente la fede e di partecipare alla messa della domenica».

    Il vescovo australiano Barry Collins, racconta che «la storia della chiesa cattolica in Australia è centrata sulla celebrazione dell’Eucaristia… A causa della situazione geografica e dell’isolamento della nazione si è deciso di accentuare durante il Giubileo soprattutto a livello diocesano e parrocchiale, con varie iniziative, la partecipazione alla messa». E se «negli anni recenti la riduzione del numero dei sacerdoti ha comportato una riduzione dei luoghi in cui giornalmente e settimanalmente si celebra la Santa Messa», questo Giubileo e la sua preparazione, sono stati una straordinaria occasione, anche nella lontana Australia, per riconfermare «l’importanza dell’Eucaristia. Da amare e da far conoscere».

Cen 13
Una celebrazione COngressuale nella Basilica di San Paolo fuori le mura.

‘Troppo bello per essere vero’

    Martedì 20, sempre all’interno della basilica lateranense, prendono avvio le conferenze pubbliche del Congresso. La prima, a cura dell’arcivescovo di Chicago, il cardinal Francis Eugene George, è seguita dalla testimonianza del fondatore della comunità de “L’Arche”, un apostolo della fraternità evangelica, Jean Vanier,

    «Anni fa – inizia il presule statunitense – ero in visita ad un vecchio amico missionario, in Zambia. Una mattina mi recai sulle rive del fiume per ringraziare Dio delle bellezze naturali di quel Paese tribolato. Quattro uomini vennero fuori dalla foresta e mi chiesero dove trovare il prete. Indicai loro la missione e tre di essi vi si recarono. Il quarto si fermò da me e incominciammo a parlare. Quando gli chiesi perché fossero venuti in cerca del prete, egli mi rispose che nel suo piccolo villaggio si erano sentite molte storie, alcune delle quali riguardanti Gesù, il vangelo e la chiesa. Per questo erano venuti a chiedere al prete informazioni precise circa questa religione. Quanto a lui, mi disse, “ho pensato a ciò che ci è stato raccontato ed ho capito che non è per me. Non ha senso, quando guardo alla mia vita, credere che Dio ci ama e che vuole sacrificare se stesso per noi. Non può essere, non ci credo. È troppo bello per essere vero”. Ho pensato molto a quell’uomo – aggiunge i cardinale –e credo che ciò che egli ha detto è giusto. È troppo bello per essere vero eccetto per coloro che nel cuore, nell’anima e nella mente, sono stati toccati da un Dio che ci ama assai più di quanto possiamo immaginarci…».

    L’Eucaristia è anche punto di partenza della testimonianza di Vanier, che racconta il significato e l’efficacia del sacramento nella straordinaria esperienza di condivisione con i portatori di handicap che si realizza nelle comunità dell’Arche. Nell’Eucaristia, dice Vanier, Cristo ci chiede di saper leggere la domanda d’amore sul volto del povero e di restare, oggi più che mai, in piedi accanto alla Croce. E allora «bidonvilles, carceri, centri psichiatrici, campi di rifugiati e profughi… diventano luoghi della presenza di Dio», un Dio «che piange e che asciuga lacrime».

    Durante la tradizionale udienza del mercoledì in piazza San Pietro, il papa dedica la sua catechesi al tema del Congresso eucaristico. Ai 40mila pellegrini presenti, provenienti da venticinque Paesi, dice: «Il Congresso colloca l’Eucaristia al centro del grande Giubileo dell’Incarnazione e ne manifesta tutta la profondità spirituale, ecclesiale e missionaria. È dall’Eucaristia, infatti, che la Chiesa e ogni credente traggono la forza indispensabile per annunciare e testimoniare a tutti il Vangelo della salvezza. La celebrazione dell’Eucaristia, sacramento della Pasqua del Signore, è in se stessa un evento missionario… Non solo perché da essa scaturisce la grazia della missione, ma anche perché contiene in se stessa il principio e la fonte perenne della salvezza per tutti gli uomini. La celebrazione del Sacrificio eucaristico è, pertanto, l’atto missionario più efficace che la Comunità ecclesiale possa porre nella storia del mondo».

 E conclude: «Oggi è particolarmente necessario che, dalla celebrazione dell’Eucaristia, ogni comunità cristiana tragga la convinzione interiore e la forza spirituale per uscire da se stessa e aprirsi ad altre comunità più povere e bisognose di sostegno nel campo dell’evangelizzazione e della cooperazione missionaria, favorendo quel fecondo scambio di doni reciproci…».

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Un sacerdote di rito orientale partecipa alla processione uucaristica del Corpus Domini.

Una rivoluzione culturale

 

    La vera “rivoluzione culturale”? Avvenne un giovedì di primavera di circa 2000 anni fa, in una stanza della vecchia Gerusalemme, dove erano riuniti un giovane rabbì e i suoi 12 amici, uomini di umili origini. È la rivoluzione dell’Eucaristia che, a patire dall’ultima Cena, «ha cambiato il destino del mondo». Non ha dubbi il cardinale Jean-Marie Lustiger nella seconda conferenza pubblica di questo Congresso in San Giovanni.

    Mentre a Roma si festeggia la solennità del Corpus Domini nel contesto del Congresso eucaristico internazionale, il cardinale di Parigi svolge il tema “Eucaristia sorgente di cultura” parlando dei gesti e delle parole di Gesù che, nel primo Giovedì Santo della storia, trasforma il pane e vino nel suo corpo e nel suo sangue e lava i piedi ai discepoli ribaltando ogni prospettiva umana per sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda dell’amore di Dio.

    «Trascrivere nella condizione degli uomini questa carità di Dio, le sue premure e la sua bellezza – afferma – è la rivoluzione culturale richiesta dall’Eucaristia». Lustiger delinea anche i tratti essenziali di questa rivoluzione culturale: soprattutto il ribaltamento delle gerarchie che la società stabilisce tra potenti e deboli, dotti e ignoranti, padroni e schiavi, poiché Gesù, Signore e Maestro si è fatto servo di tutti. Nel clima odierno della globalizzazione, parlare di cultura eucaristica significa parlare, poi, di una cultura della vita che si oppone alla morte, che «insegna agli uomini il mistero messianico della salvezza… e guida a riconoscere in questo universo mortale la bellezza raggiante della risurrezione e dell’immortalità».

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Il Papa Giovanni Paolo II presiede la processione eucaristica che si snoda dalla Basilica di San Giovanni fino alla basilica di Santa Maria Maggiore.

 

‘Con umile fierezza’

    Il giovedì del Corpus si conclude con la tradizionale processione (si è parlato di 60.000 fedeli) al termine della celebrazione sul sagrato del Laterano. «Con umile fierezza – ha detto il papa all’omelia nella quale ha commentato il brano della moltiplicazione dei pani – scorteremo il Santissimo Sacramento lungo le vie della città, accanto ai palazzi ove la gente vive, gioisce, soffre; in mezzo ai negozi e alle officine in cui si svolge l’attività quotidiana. Lo porteremo a contatto con la nostra vita insidiata da mille pericoli, oppressa da preoccupazioni e pene, soggetta al lento ma inesorabile logoramento del tempo».

    Il «farmaco di immortalità» è proprio l’Eucaristia. «Di questo Pane di vita – afferma il pontefice – si sono nutriti innumerevoli santi e martiri, traendo da esso la forza per resistere anche a dure e prolungate tribolazioni». E continuano a nutrirsi anche gli uomini del 2000 «mediante la partecipazione al Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue».

    Per la grande infiorata che orna il centro di piazza San Giovanni sono stati stesi quintali di petali colorati che ripetono il logo del Congresso eucaristico e quello del Giubileo.

    Quando il papa prende posto sul veicolo appositamente predisposto per la processione, le ombre della sera avvolgono ormai quasi del tutto il sagrato. Inginocchiato davanti all’ostensorio Giovanni Paolo II si raccoglie in preghiera. E dietro di lui vanno i fedeli, moltiplicando le luci delle fiaccole, mentre via Merulana s’inginocchia sui petali di fiori sparsi dai bambini che precedono il Santissimo.

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La celebrazione eucaristica sul sagrato di San Giovanni in Laterano, la sera del Corpus Domini.

Confessione e talk-show

    “Eucaristia e riconciliazione” è il tema della conferenza pubblica di venerdì, affidata al cardinale di Vienna Christoph Schönborn. Con un occhio alla teologia e l’altro all’attualità, il presule ricorda quella sorta di confessione pubblica di moda in televisione, quei talk-show in cui si manifestano «le preoccupazioni più intime, i conflitti, le ferite». La nostra epoca, che ha messo quasi da parte il colloquio con il sacerdote nel segreto del confessionale e protegge in maniera gelosa il cosiddetto “diritto alla privacy”, è pronta a spiattellare di fronte a milioni di telespettatori i fatti propri. Quale differenza con il sacramento della riconciliazione, ricorda il cardinale. Comunione e remissione dei peccati sono così intimamente connessi perché «nelle semplici parole dell’assoluzione avviene qualcosa di simile al mistero della consacrazione… La fragile, spezzata, ferita e colpevole persona del peccatore viene trasfigurata nel Corpo glorificato di Cristo, nella figura della Chiesa».

    Alla conferenza di Schönborn, segue la testimonianza di Paola Bignardi, presidente dell’Azione cattolica italiana: «Il segno che qualifica le nostre relazioni con gli altri è il perdono – ha ricordato il presidente dell’Ac – come gesto unilaterale di riavvicinamento all’altro, dimenticando ciò che ci ha ferito, nel desiderio di ricostruire legami di fraternità».

    L’ultima conferenza pubblica, quella del sabato, è affidata all’arcivescovo di Città del Messico, Norberto Rivera Carrera, che si sofferma sul rapporto tra Eucaristia e “giorno del Signore”. Di domenica in domenica, dinanzi alla comunità riunita, «l’Eucaristia ci apre al destino universale dell’essere umano. Il pane e il vino convertiti nel corpo e sangue di Cristo sono il pegno di vita eterna e annuncio e preannuncio della resurrezione finale che ci aspetta».

    Attorno alla celebrazione domenicale «si rafforzano e si rinnovano le persone, le famiglie, le parrocchie, le associazioni». Perciò l’Anno Santo è un «momento molto opportuno per avvicinarsi con costanza a questa sorgente inesauribile di vita interiore ed estrarne tutta la sua ricchezza».

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La statio orbis

    Dalla finestra dell’Angelus, domenica 25 giugno, Giovanni Paolo II afferma che il Congresso eucaristico «ha fatto di Roma la città dell’Eucaristia» e che «l’intera chiesa si è raccolta idealmente qui a Roma per restare nel cenacolo in ascolto e contemplazione dell’Eucaristia».

    «Cristo – ha sottolineato ancora il pontefice – è il Pane della salvezza per l’uomo viandante e pellegrino sulla terra… Nel mistero eucaristico, il Risorto ha voluto continuare ad abitare in mezzo a noi, perché ogni essere umano possa conoscere il suo vero nome, il suo vero volto, e sperimentare la sua infinita misericordia».

    Per dare ragione del tema del congresso, Giovanni Paolo II ribadisce che la Chiesa, pur valorizzando quanto nelle diverse espressioni religiose l’uomo compie per accostarsi a Dio «non può non dire chiaramente che Cristo è il solo Redentore, il Figlio di Dio, che per noi si è incarnato, è morto ed è risorto». Nell’occasione, poi, l’annuncio della prossima statio orbis a Guadalajara (Messico) nel 2004.

Il culmine e, insieme, la conclusione del 47° Congresso eucaristico internazionale, si è avuto nella statio orbis celebrata domenica sera, in una piazza San Pietro affollata da circa 30mila persone. Sul sagrato spiccava una infiorata, composizione multicolore realizzata con 9 tonnellate di petali di fiori..

Hanno concelebrato con il papa trenta cardinali, sessanta vescovi e più di mille sacerdoti giunti. Inoltre, in piazza erano presenti diecimila bambini che hanno ricevuto quest’anno la loro prima comunione.

«Da questa Piazza – ha detto il Santo Padre nell’omelia – vogliamo ripetere agli uomini e alle donne del terzo millennio l’annuncio che il Figlio di Dio si è fatto uomo per noi e si è offerto in sacrificio per la nostra salvezza. Egli ci dona il suo corpo ed il suo sangue come alimento di una nuova vita, di una vita divina non più soggetta alla morte».

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Celebrazione dell'Eucaristia della Statio Orbis finale del Congresso.

 

Un evento di popolo

    A differenza dei singoli giubilei di categoria celebrati nel corso dell’anno santo, tutto il popolo di Dio è stato invitato a partecipare al Congresso eucaristico: gli adulti, le confraternite, i bambini della prima comunione, i giovani, i vescovi di 90 conferenze episcopali di tutto il mondo, religiosi e religiose, pellegrini giunti appositamente da ogni dove, spesso con il contributo del Pontificio Consiglio dei Congressi eucaristici. Non sono stati trascurati neppure i poveri cui è stato dedicato il “segno permanente” di un poliambulatorio presso la Stazione Termini, che servirà con cure mediche i bisognosi, gli extracomunitari e i barboni.

    Un altro elemento che ha segnato la differenza con le stesse precedenti manifestazioni è stata la presenza del papa che è intervenuto ben quattro volte. E questo sottolinea l’importanza che Giovanni Paolo II riconnette al Congresso, posto a metà di un anno “intensamente eucaristico”. Più forte che in passato è stata poi, soprattutto nei diversi discorsi del papa, la sottolineatura di una Eucaristia missionaria, legata al movimento della nuova evangelizzazione.

    L’Eucaristia, infatti, non può ridursi ad un fatto devozionale, tutto interno alla vita della Chiesa cattolica ma deve riassumere tutta la sua forza di sacramento pasquale che può trasformare il mondo. Sarà utile non dimenticarlo specie di questi tempi in cui, anche grazie al rinnovamento della catechesi, si lavora per una maturazione dell’autentico culto eucaristico.

     Se, infatti, un po’ in tutte le chiese locali si nota un ritorno alle forme classiche di preghiera (l’adorazione ad esempio) e di spiritualità eucaristica, si avverte anche l’incapacità di indirizzare correttamente questo bisogno che sbocca, spesso, in eccessi devozionalistici o in derive spiritualistiche. Tant’è che, anche nelle chiese di Roma, si nota quanto sia facile solennizzare e prolungare l’esposizione del Santissimo con vere e proprie maratone d’adorazione, mentre le celebrazioni eucaristiche, a partire da quelle domenicali, si moltiplicano nella sciattezza più deprimente.

    Giusta la misura delle catechesi o conferenze pubbliche. In fondo il Congresso eucaristico è il punto d’arrivo di tutto un cammino di maturazione svolto nelle diverse chiese locali; ed è questo ciò che conta. Ma le stesse catechesi quotidiane, affidate a noti cardinali, sono state poco convincenti. I temi, pure importanti, sono stati presentati con contenuti, linguaggio e stile poco adeguati ad una chiesa chiamata a confrontarsi con i problemi drammatici della modernità. Così, al confronto, sono state assai più efficaci le testimonianze, talvolta davvero evangeliche, dei laici chiamati a condividere la loro vita con i bisogni del mondo.

(Vittore Boccardi)

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