MALTA.CAPO

 

24. MALTA (Colonia inglese) dal 23 al 27 aprile 1913.

Organizzato da: Mons. Pace, arcivescovo di Malta.

Presidente: Legato Pontificio Cardinale Domenico Ferrata e Mons. Heylen.

Segretari generali: Rev. Boquerel, Mons. Paolo Gauci.

Tema degli studi:

L'Eucaristia a Malta e nell'Africa del Nord;L'Eucaristia e la famiglia;

il regno di Gesù-Ostia, salvezza dei popoli.

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La tessera dei delegati iscritti al Congresso di Malta.

I preparativi

    Giunto in Malta qualche giorno prima che si desse principio al Congresso Eucaristico internazionale, che è il XXIV della serie, incominciata a Lilla nel 28 giugno 1881, ho potuto conoscere tutti i preparativi, tutta la storia e le diverse fasi per le quali dovette passare la prima idea, ardita, di tenere nell'isola un simile evento. Son cinque buoni anni di lotta, di tenacità, di pazienza, che dovrebbero conciliare al Vescovo Mons, Pace ed ai suoi infaticabili collaboratori la maggiore riconoscenza dei maltesi e l’ammirazione degli stranieri.

    «Io solo - diceva il Card. Bourne parlando al Congresso con quella abituale cortesia di modi e precisione di linguaggio che in lui è pari alla lucidità del pensiero ed all’ampiezza della dignità - io solo posso dare a mons. Pace e a Malta il saluto e il plauso conveniente, perché io solo conosco meglio di altri, tutti i passi del cammino che dovemmo compiere per arrivare in quest’isola e trovarci riuniti qua dentro». Per la verità bisogna aggiungere subito che il primo prelato d’Inghilterra non solo conosce meglio di altri tutto questo cammino, incominciato a Londra nel Congresso del 1908 ma che ha cooperato efficacemente a realizzare quel lungo sogno luminoso.

    Al principio il lavoro era quasi segreto e pochi se ne davano pensiero. L’argomento diventò pubblico dopo il Congresso di Vienna (1912) e si fece sempre più vivo a mano a mano che si avvicinava la sua data convenuta. È noto quante diffidenze, quanti sospetti, quante e quanto fosche previsioni intorno all’esito piovessero da ogni parte. I non più che trecentosettanta chilometri quadrati che misura questo piccolo avanzo galleggiante di un continente sommerso; la natura del suolo, che sotto la cupola di un cielo ardente si dissecca sempre più; le difficoltà del viaggio in un mare che molti non conoscono se non per il naufragio di S. Paolo o per le guerre cartaginesi e dei corsari; la insufficienza degli alloggi…

    Tra gli stessi amici dell’isola non mancò chi ripetesse con aria di gravità e di preoccupazione: «Malta con tutto il suo miele e le sue rose, con tutto il suo porto la cui vastità, varietà e pittoresca bellezza riempie di meraviglia anche chi è rimasto in contemplazione su le incantevoli rive del Bosforo, potrà Malta invitare il mondo a consesso tra le sue mura?». Ma i buoni maltesi lavoravano tutti, indefessamente, perché consideravano la riuscita come un impegno d’onore nazionale e sacro. C’era difetto di alloggi e gli alberghi pubblici si ingrandirono; tutti i proprietari di palazzi e case li aprirono per ricevere gli ospiti; ospitalità ad un congressista, più di un cittadino maltese sarebbe stato contento di restar fuori a ciel sereno. Non ce ne fu poi bisogno, anche perché centinaia e centinaia di intervenuti fecero servire di alloggio le navi capaci su cui avevano compiuto il viaggio.

    Non minore fu la gara nel provvedere alle spese diritte e traverse, necessarie per dare il più grande splendore alle solenni cerimonie. Nel giorno di Pasqua, rivolgendosi al suo popolo, mons. Pace poteva dire: «E voi venerabili Fratelli e Figli carissimi con quale amore non avete corrisposto per mezzo delle vostre contribuzioni! Abbiamo ricevuto molto e nutriamo fiducia di avere ancora, per potere raggiungere la somma necessaria per le grandi spese della circostanza». Come sempre, in questa occasione altresì, bisogna riserbare una parola commossa di compiacenza e anche di ammirazione a certi abitanti più umili, di condizione disagiata, i quali alle loro non laute entrate tolsero qualche parte, qualche parte che toccava il necessario, per dare il loro obolo al congresso, per poter dire con una certa gioia intima e quasi con orgoglio: questo congresso è anche opera delle nostre mani, è frutto dei nostri sudori, questo congresso è cosa nostra.

    Da questi saggi di emulazione e di ardore comune a tutti si può giudicare dell’impegno di coloro che attendevano direttamente ai lavori. I comitati e sottocomitati, costituitisi con uomini di diverse classi e di varie attitudini, se pure qualche volta mancarono di esperienza, di preveggenza, di sagacia pratica, dimostrarono sempre volontà inflessibile, zelo infaticabile, energia e fermezza in superabile. E le fatiche di un anno non furono sprecate. Ben se ne accorse lo stesso mons. Heylen, l’energico ed accorto presidente generale del comitato permanente, fin dall’ottobre scorso. Venuto qui, per conoscere con la sua esperienza la condizione del luogo e delle cose e preparare il migliore successo finale, dichiarò fin da allora nell’oratorio di S. Giovanni, che il congresso di Malta sarebbe riuscito non inferiore agli altri che lo precedettero, e per alcuni riguardi anzi superiore. È inutile aggiungere che l’ardore crebbe sempre sino alla fine.

    Chi fosse capitato in Valletta intorno al 20 aprile, si sarebbe avveduto che la città era nell’attesa di un singolare avvenimento. Malta colpisce sempre di meraviglia chi vi capita la prima volta. Ma in questi giorni la sorpresa era di tutti e diversa. Gli abbellimenti delle strade, degli edifici, delle chiese, specialmente e degli uffici pubblici; i gruppi di curiosi fermi in tanti punti; e il lavoro vario, impetuoso, crescente in quelle ultime ore in molti luoghi diversi, ma diretto verso lo stesso fine erano segno di una solennità straordinaria. I pensieri di tutti, i discorsi, la vita dell’isola si avvolgeva sempre intorno allo stesso centro: il Congresso.

    Di pari passo con questa preparazione esteriore era andata anche quella spirituale, la più notevole. «La prima preparazione aveva raccomandato il zelante Arcivescovo Vescovo di Malta dev’essere spirituale ed a questo scopo una missione con prediche sarà fatta in Valletta nella chiesa del Gesù dalla prima domenica fino alla terza dopo Pasqua. Nelle altre chiese collegiate e parrocchiali raccomandiamo che se ne imiti l’esempio con un triduo di prediche prima del Congresso». L’avvertimento fu bene accolto. Le predicazioni straordinarie passarono sulle .anime come un gagliardo vento purificatore e le rinnovarono. Operarono una leva in massa del popolo che, scuotendosi da dosso un certo languore religioso, gareggiava con popoli più noti e più grandi. Già uno dei principali frutti del Congresso era ottenuto.

    I suoi fini più desiderati, infatti, erano tre. Il primo, comune a tutti i congressi, ed esposto dal vescovo di Namur, anzi dallo stesso Sommo Pontefice, era il trionfo di Cristo nell’Eucaristia; il secondo, indicato con delicatezza tale, che allontanava qualsivoglia ombra di offesa personale, dal cardo Bourne e comune agli altri congressi compiutisi nei dominii inglesi, era un atto di riparazione per le offese recate all’Eucaristia dai protestanti; il terzo, tutto proprio di Malta, era di aggiungere una nuova gemma alla sua corona gloriosa, una pagina indimenticabile alla storia dell’isola.

    Tuttavia incertezze e diffidenze ritornavano a quando a quando a manifestarsi quasi inavvertitamente nei discorsi correnti. Esse si fondavano sulla diversità di religione del governo, e sulla presenza dei protestanti in Malta. Ma, quanto al governo centrale, bisogna notare che erano timori sempre vaghi senza che si potesse recare un atto specifico e concreto di ostilità. Lo stesso dicasi dei protestanti. Si ripeté sovente che avessero lavorato, e molto, contro la riuscita. Fatti però determinati e sicuri non furono addotti mai.

    Il concorso di stranieri era in quei giorni assai scarso, né accennava ad aumenti notevoli. Il contegno di varie società di navigazione parve molto biasimevole. Erano state annunziate in diversi tempi partenze di piroscafi straordinari da diversi porti e alcune di queste promesse furono mantenute. Io stesso potei profittare di un battello, il Prins Heinrich, che la società tedesca Norddeutscher Lloyd fece approdare nell’isola. In questa magnifica nave di 138 metri di lunghezza, tutta rilucente di smalto e di lucidi ottoni, in mezzo a sceltissimi passeggeri di America e di Russia, di Germania e d’Inghilterra, ed a gentilissimi ufficiali, il viaggio fu il più bel preludio dei giorni seguenti. Esso occupò lo spazio di un sogno; di un sogno incominciato tra i profumi delle rive italiane e rotto tra i vapori cinerei dei quali si avvolgeva  e si velava l’isola sul fare dell’alba, quando la maggior parte dei viaggiatori si riunì in una bella sala tramutata in cappella, per ascoltare ben tre messe e fare la santa comunione.

    Però non tutte le società fecero come la potente Compagnia di Brema e le partenze annunciate non ci furono. Molti furono costretti a servirsi del piccolo piroscafo che parte ogni dì da Siracusa; piroscafo che per la sua piccolezza e, almeno in questi giorni di molta ressa, per altre varie ragioni, lasciò scontenti molti. Fra timori e speranze diverse sorse intanto il 22 aprile, destinato all’ ingresso del Cardinal Legato.

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Il Legato Pontificio raggiunge il porto di La Valletta sulla regia nave Hussar partita da Messina.

 

Giornate sacre

    La voce era corsa: nessun cardinale sarebbe giunto prima del Legato pontificio e questi sarebbe arrivato in porto alle ore 16 del 22; sarebbe disceso in terra alle ore 17. Nessun popolo ha tanta stima e venerazione per un inviato apostolico quanto il maltese, il maltese che non vede passare un sacerdote senza riverirlo, non vede passare un vescovo senza correre irresistibilmente a lui e inginocchiarsi per essere benedetto. II Cardo Ferrata, poi, è considerato qui come il Cardinale maltese che ama Malta e ne è contraccambiato fervidamente, sinceramente; il cardinale che gode le simpatie anche delle autorità civili e militari e che aveva ricevuto anche altra volta onori principeschi dall’ammiraglio capo della flotta del Mediterraneo, Lord Beresford; il cardinale che aveva sentito il bisogno di mandare con riconoscenza viva un saluto e un augurio «al grazioso sovrano Eduardo VII, nel cui vasto impero la Chiesa cattolica spiega pacificamente la sua azione benefica».

    Dopo che il card. Bourne aveva pregato il cardinale Segretario di Stato che si compiacesse far cadere la scelta per l’altissimo ufficio di rappresentante del Papa sopra un cardinale romano che sta vicino al Papa, come si era fatto pel Congresso di Londra; la scelta non parve dubbia. La notizia ufficiale della nomina fu appresa con giubilo, e coi più ardenti desideri si affrettava il giorno del suo arrivo. Un fremito di entusiasmo agitò quel giorno tutta la città, tutta l’isola. Pareva che nel primo incontro con colui che veniva nel nome del Sommo Pontefice si dovessero sperimentare tutte le gioie e tutta la grandezza del Congresso.

    Nelle ore pomeridiane, tutti i luoghi aperti verso l’entrata del gran porto erano gremiti di spettatori. Ebbe  principio allora quello spettacolo bellissimo che non mancò più mai, e consisteva nel vedere tutte le finestre, tutti i balconi, tutte le terrazze, tutte le alture per lungo tratto nereggianti di uomini e donne che cercavano in tutti i modi di vedere un poco meglio, di essere un po’ più fortunati di altri. Quando la nave fu scorta da lontano ed entrò all’ora fissata nel porto, le campane della città diedero il primo avviso, e le campane di tutti i dintorni risposero salutando con squilli vigorosi. A quest’immenso coro dell’alto si unì un altro coro non meno gagliardo delle sirene di tutti i vapori, di tutte le lance; si unirono le marce delle bande distribuite in vari punti della terra e sul mare. Sulla terra seguirono potenti e lunghi gli applausi delle mani, lo sventolare dei fazzoletti e cappelli; mentre gli sguardi anche senza volerlo venivano attirati da innumerevoli bandiere alzate sui battelli, sugli edifici pubblici, e su tutte le case, in vari colori, in varie forme, le quali agitate dalla brezza parevano palpitare anche esse di esultanza ed unirsi alla festa comune.

    Una selva di barchette coprì tutt’ intorno le onde. Le autorità religiose e civili andarono a rendere il loro primo saluto a nome dell’isola. Il Legato era profondamente e visibilmente commosso e, sceso a terra, si sentì crescere sempre più la commozione per l’alito caldo della folla entusiasta. Né solo il popolo si recò incontro al Cardinale, ma presso la chiesetta di Sarria, quasi all’ingresso della città, il vescovo e tutto il clero venne processionalmente a rendere i primi omaggi, e scortare alla concattedrale in forma solennissima l’inviato dal Papa. In quel primo incontro seguirono alcuni discorsi del Vescovo e poi del Legato e la gran moltitudine si diresse verso la chiesa di S. Giovanni. In breve, la scalinata e la strada, che si allarga per lungo tratto dinanzi l’Ingresso della chiesa bellissima, si coprì di popolo avido di rivedere subito al passaggio, almeno per un momento, il Card. Ferrata. Il clero che si avanzava nel mezzo, sembrava un fiume bianco tra due rive nere di spettatori. Non appena il Legato fu dentro la chiesa, questa subito si riempì. Nuove colonne di popolo intanto giungevano all’entrata e passavano. La. moltitudine rigurgitava intorno al tempio già occupato e colmo. Recitate all’altare le orazioni di rito, le acclamazioni si ripeterono fragorose ad ogni vescovo intervenuto che usciva dalla chiesa, fragorosissime all’uscire del Cardinale che si diresse al Vescovado.

    In tutta questa manifestazione l’elemento più bello e commovente era la fede donde partiva tanto movimento. Aveva avuto ragione il Legato di ripetere poco prima al Vescovo: «Eccellenza! Voglia dire al suo venerabile e benevolo clero ed a questa forte e simpatica popolazione che la festosissima accoglienza fatta al Legato del Papa, è una nuova e luminosa prova della loro fede, che io ricambio portando a tutti la benedizione del Santo Padre, auspicio e pegno dei più eletti favori».

    L’apertura del Congresso alla Musta, e le varie riunioni generali offrirono sempre uno spettacolo magnifico per il popolo festante che assiepava tutte le vie col fervore di un gran sentimento religioso e quasi di una grande responsabilità. Le assemblee generali furono tutte altrettanti magnifici spettacoli degni di ammirazione, di spirituale esultanza. Il primo giorno, il 23, nel pomeriggio dopo che il presidente generale mons. Heylen ebbe pronunziate in forma vigorosa e scultoria le prime parole di occasione e di augurio, fu letto dal segretario del comitato generale mons. Gauci tra il silenzio della gran folla, raccolta nel vastissimo tempio, il Breve Apostolico col quale il S. Padre in data 8 aprile, nominava il Cardo Domenico Ferrata suo Legato, a presiedere al Congresso di Malta, ocellus insularum, di questa Malta la quale «soggetta a uno Stato di vastissimi confini, accoglie navi mercantili e militari che toccano tutte le rive della terra, e nel Mediterraneo occupa un posto che la fa centro del mondo antico, in cui Costantino con la sua vittoria fece risplendere le glorie della Croce».

    Incominciò a parlare subito dopo il Cardo Legato fra continui e calorosi applausi. A lui seguì mons. Pace, dopo di cui il suo vescovo ausiliare mons. Portelli dei Predicatori diede con grande enfasi oratoria il saluto inaugurale ai presenti, applicando a tutti e specialmente al cardo Legato le parole di S. Paolo, voi qui: «non estis hospites et advenae sed cives et domestici». A mons. Portelli fece eco, in nome del popolo, il marchese Mattei che sta al primo posto tra coloro che hanno voluta ed ottenuta la gloria di queste indimenticabili giornate eucaristiche.

    Nelle riunioni seguenti, come oramai in tutti i congressi, ascoltammo laici ed ecclesiastici in lingue diverse ed in diversi modi cantare più che dire le glorie di Gesù Sacramentato. Né mancarono oratori celebri la cui parola agitò le anime come un soffio sacro verso una bella idea. Tali furono, per esempio, il rev. p. Cuschieri, il p. Gemelli, il Card. Bourne, l’abbate Desgranges; il presidente della Jeuneese Catholique di Francia, e tra i secolari dell’isola l’avv. Mercieca, il magistrato Cremona, il dotto Inglott. Nella seduta di chiusura poi prese la parola anche l’arcivescovo di Siviglia, il Cardo Almaraz y Santos, con grandissima gioia di tutti e festa del gruppo spagnolo che, giunto tardi, fu sempre in tempo per lasciare un bellissimo ricordo della sua pietà.

    Essendo l’Eucaristia il centro su cui si volge tutta la vita cristiana, da cui si irraggiano gli splendori della fede e in cui son contenuti i tesori della grazia, ne seguì che in quei discorsi si parlò delle principali questioni che travagliano la società moderna, dei mezzi conducenti ad avviarne o sviarne la soluzione. Si udirono intorno alla famiglia e all’individuo; intorno al culto privato e al pubblico le più belle proposte e suggerimenti; ed anche se non tutto sarà tradotto in atto, tuttavia è certo che le anime ne avranno molto vantaggio. Assai confortevole fu inoltre il modo come era accolta ogni frase relativa al Sommo Pontefice ed il suo nome augusto.

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La benedizione del Mare dall'alto delle mura di La Valetta.

   

    Accanto alle riunioni generali si collocano quelle in sezioni linguistiche. Anche qui il concorso dei fedeli, lo zelo e la qualità degli oratori contribuirono al successo finale. La sezione italiana doveva essere la prima, per ragioni facili a vedere. Vi si studiarono vari argomenti di azione pratica come l’adorazione notturna, i congressi nazionali e diocesani, la diffusione della buona stampa specialmente eucaristica. Il P. Poletti di Torino con la sua parola sobria, serena, convincente a cui giovavano i modi rispettosi e modesti, diede l’esempio di chi viene a simili consessi con matura preparazione, desideroso di promuovere l’onore di Dio e non di far cadere sopra se stesso gli sguardi e l’attenzione del pubblico. Le sue proposte pratiche intorno ai congressi eucaristici diocesani, interdiocesani, nazionali, sono destinate a un successo vero, assicurato anche più da un certo intervallo, da una pausa che pare voglia farsi fra i congressi internazionali.

    La sezione spagnola, adunata sotto la presidenza del cardinale Almaraz y Santos, si occupò a indicare e raccomandare in modo tutto pratico atti vari di culto relativi all’Eucaristia. E i loro desideri per la diffusione delle quarant’ore, dell’ora santa, di tante opere eucaristiche sono bene degni di essere ascoltati se si pensa, che nella Spagna, come disse il loro cardinale, fu prolungata l’esposizione del SS.mo nelle chiese durante tutto il tempo del Congresso, al quale così partecipavano in spirito anche quelli che rimasero in patria. Agli spagnoli si unì un gruppo di portoghesi.

    Nella sezione inglese, fu lodato l’ordine, la serietà, e anche lo zelo per il Divino Abbandonato negli altari. Anche gli inglesi insistettero nel raccomandare la pratica delle quarant’ore che, così, divenne un argomento su cui tutte le sezioni si trovarono concordi.

    L’ultima parola intorno a queste riunioni particolari va riservata alla sezione degli studenti, i quali ebbero in tutte le funzioni una parte principale, degli studenti che anche oggi sull’altare della Vergine Santa eretto all’entrata della loro scuola mantengono con grande sollecitudine freschi ed olezzanti i fiori in tutto l’anno. Questa sezione attirò cardinali e vescovi, prelati e oratori insigni che ne accrebbero l’importanza ed il valore. I discorsi quivi pronunziati erano accesi, veementi, e, pure, tanto seri. Nessuno dimenticherà le parole dette da uno studente sig. Cortis intorno alla Eucaristia e i buoni costumi.

    Come conclusione generale di questa esposizione sommaria può servire il desiderio espresso a varie riprese sul merito di queste discussioni; ed è il desiderio che gli oratori siano pratici, tralascino i discorsi lunghi, e, forse anche, i discorsi scritti. Ma la parte principale dei congressi non sono veramente i discorsi qualche volta non pratici, qualche volta non capiti, qualche volta anche noiosi, ma sono tutte le altre funzioni e cerimonie pie che si compiono in quelle circostanze per uno scopo determinato di riparazione e di lode. Or queste funzioni fanno tutta la gloria di questo ultimo Congresso.

    In questi giorni tutta l’isola fu convertita in un tempio vasto per celebrarvi la gloria di Dio. In tutta l’isola si compirono speciali funzioni religiose. Di tali funzioni ricordiamo qui almeno la comunione dei fanciulli, la benedizione del mare, l’ultima processione e benedizione solenne del popolo.

    Nella chiesa di S. Pubblio alla Floriana, che si stringe alle spalle di Valletta, il 24 convennero sul far del giorno bambini e bambine da tutta l’isola. La bella funzione non riuscì inferiore a quella degli altri Congressi. A Londra si videro ordinati in processione da 15 a 20 mila bambini; a Montréal la processione contava trentamila bambini; a Madrid restò indimenticabile la comunione di ventimila e più bambini; a Vienna nella giornata dei bambini, furono calcolati a settemila quelli che si accostarono alla sacra mensa. In Malta le due funzioni della comunione e processione si riunirono in un unico effetto meraviglioso I bambini salirono a circa dodici mila. La chiesa di S. Pubblio destinata ad essi, non fu capace ad accoglierli tutti. Erano state preparate novemila particole, e bisognò rimandare nelle chiese vicine un gran numero degli intervenuti.

    Alla comunione seguì il corteo in Valletta per la Strada Reale, la principale, intorno a cui sono disposte tutte le altre vie in direzione o parallele o perpendicolari. Lo spettacolo fu dei più soavi e commoventi. Quella strada che qualche giorno innanzi aveva visto la gloria tributata al Legato del Papa e qualche giorno appresso doveva vedere quella di Gesù Sacramentato, il 24 vide il trionfo dell’innocenza che intenerisce e innamora. Gran quantità di uomini e donne, ritraendosi ai margini della strada facevano largo, cedevano il posto ai piccoli, ed essi, come se una grave responsabilità pesasse su loro, in cedevano dignitosi e giulivi dietro i loro vessilli sacri, cantando inni religiosi; incedevano i bimbi nei loro abiti di festa, le bambine avvolte nei veli candidi, e ad ogni sbocco di via ondate di popolo nuovo irrompeva per godere del magnifico spettacolo. Lo stesso Cardinale Ferrata vi assisteva dal balcone del Casino Maltese, dove era stato invitato dai signori che hanno abbellita la patria con quel ritrovo degno di una grande città.

    Insuperabile per l’effetto scenico e pittoresco, fu la benedizione del mare impartita dal punto più alto della città designato col nome di Baracca Superiore. La processione mosse dalla concattedrale quando ancora tutto l’isola ardeva nella gloria abbacinante del sole pomeridiano. Quando il clero giunse sul posto stabilito, chiuso al pubblico, la Baracca rientrata nell’ombra perché difesa alle spalle da alti edifici, faceva un bellissimo contrasto con le città, che le stanno in faccia dalla parte opposta del porto, biancheggianti nella mite luce del sole presso a tramontare. In quella luce, in quell’ora vedere un novantamila uomini disseminati sulle strade, sulle piazze, sui punti tutti dai quali si può scorgere la Baracca, e specialmente sul mare in barchette innumerevoli, in lance, in grandi piroscafi, tutti quanti riuniti nello stesso fine di vedere benedette le acque col Santissimo Sacramento, era un quadro di incomparabile magnificenza.

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Alla Floriana, il monumento al Sacro Cuore rimane a memoria del Congresso Eucaristico Internazionale tenuto a Malta.

 

    Vi sono bellezze così grandi che inteneriscono, commuovono; e la commozione era in tutti. Essa poi salì ancora e si estese, nel momento che il Legato benedisse con l’ostensorio i bastioni, il Castello S. Angelo, il Castello S. Michele e le acque sottostanti, dove tanto sangue corse un giorno, dove si compirono durante il grande assedio le gesta eroiche che fecero entrare Malta nel concerto delle nazioni, e la storia dell’ isola nella storia del mondo. In quell’istante tutte le sirene dei piroscafi lanciarono in alto i più potenti squilli di festa; l’immensa moltitudine con tutte le forze dell’animo, con tutto l’ardore dell’entusiasmo, proruppe nei suoi viva festosi; le voci di innumerevoli campane ripercuotendosi di campanile in campanile cantarono in alto la comune esultanza dei cuori; mentre la gloria di un mite tramonto primaverile cadeva sopra tanta gioia di anime commosse e di cose. Chi fu presente e vide, benedisse il Signore e lo ringraziò come di una grazia singolare.

    Tutto però doveva cedere alla processione finale della domenica 27. Nei giorni precedenti già si erano chiuse le scuole, chiusi i tribunali; erano cadute le dispute e le dissensioni; oggi cessava anche ogni lavoro nelle fabbriche, negli arsenali, cessava l’indomabile e clamorosa armonia dell’industria e del commercio, e tutte le forze potevano essere concentrate nel culto e nell’adorazione di Gesù Cristo. La mattina di quella domenica il Legato aveva celebrato con grandissima pompa la messa pontificale nella chiesa di S. Giovanni alla presenza di cinquanta vescovi nello splendore dei sacri paramenti e la pompa principesca di quattro cardinali, tutti porpora ed ermellino. Le anime si sentirono per così dire dire chiuse entro un’atmosfera sconosciuta che conteneva come il profumo dei secoli cristiani della fede, l’atmosfera dei cieli. Non poteva esserci preparazione migliore per la grande processione e benedizione pomeridiana.

    Da tutti i casali dell’isola, da tutte le parrocchie, e anche dal Gozo fu un affluire di popolo continuo. Le vie assegnate alla processione si coprirono ai lati di popolo fin dalle prime ore pomeridiane, non ostante il sole ardente, e di popolo si coprirono tutti i balconi, le finestre, le terrazze, tutti gli angoli vicini e anche lontani da dove si oteva vedere l’immenso corteo di circa sei mila uomini. Quelle vie avevano perduto interamente la loro fisonomia. Festoni verdi formavano un portico arboreo fatto a posta perché sott’esso passasse la gloria di Gesù Cristo nell’Eucaristia. Tutti gli edifici adiacenti, anche pubblici, come la Biblioteca, la Caserma militare in piazza S. Giorgio; anche profani, come il teatro, erano ornati con drappi generalmente rossi e dorati, preziosi tappeti, artistiche ghirlande di fiori, fregi di lampadine a colore.

    In questo sfarzo di sogno, al suono di tutte le campane, tra gli abbaglianti riflessi del sole fulgido nel cielo serenissimo la processione cominciò a muoversi, a piegarsi, a distendersi nella sua lunghezza. Essa occupava la Strada Mercanti, a sinistra da chi esce da S. Giovanni, la Strada S. Domenico alle spalle, la Strada reale a destra del gran tempio. Coloro che erano a capo del corteo dovettero camminare circa due ore prima che gli ultimi uscissero dal tempio. Non mai, a memoria di uomo, fu veduto nell’isola spettacolo somigliante, sfarzo così sontuoso, gioia così viva, serena, composta. La folla sempre crescente occupava un’estensione immensa. Guardava raccolta e commossa Guardie e agenti di pubblica sicurezza non ebbero da lavorare per nulla a mantenere l’ordine. E il corteo avanzava, avanzava, simile a fiume regale sopra un letto sempre uguale aperto nella moltitudine. Come onde ad onde, si succedevano i villaggi ai villaggi, le confraternite alle confraternite, gli ordini religiosi agli ordini religiosi, tutti a quattro a quattro, in fogge e in colori diversi preceduti dal proprio stendardo. Dopo venivano i chierici e il clero, e poi le collegiate e i vescovi nei loro paramenti ricchissimi.

    Alcuni cantavano; a qualche chilometro di distanza altri recitava il rosario: tutti avanzavano con un atteggiamento, con una compostezza tale che spirava rispetto e riverenza. In alto in alto tenere manine di bimbi e di bimbe gettavano con piccolo sforzo pugni di fiori sfogliati, foglioline leggere che si. confondevano con i vapori dell’incenso.

    La processione aveva due parti. La prima parte, già accennata si chiudeva con il ricco baldacchino sotto cui il Legato,come trasportato dal movimento comune, senza fatica e senza stanchezza portava l’ostensorio. Nella seconda dietro il ricchissimo baldacchino di cui i signori della nobiltà maltese si erano conteso l’onore di portare le aste, s’ammiravano subito quattro pari inglesi, che, venuti da Londra per il Congresso, furono preferiti a portare l’ombrello. Seguivano nella loro porpora rilucente, i quattro cardinali di Westminster, di Siviglia, di Palermo e di Catania, e dietro ad essi, i componenti della Camera Pontificia, con il comitato dei lavori pel congresso, l’avvocato della Corona e i capi dipartimento; il comitato generale dei congressi eucaristici, il comitato delle Dame, i corpi costituiti dell’isola, avvocati in toga, medici, professori e infine il popolo. Percorse le vie della città, poco dopo le sei la processione era uscita fuori Porta Reale e continuò ancora per la Floriana, per una, per due ore; e, girato tutto il Maglio, ritornò infine innanzi alle porte della città, nel punto più culminante, dove era stata innalzata una magnifica tribuna dorata. per la benedizione finale.

    Quando il Cardinale Legato salì sulla tribuna, a notte inoltrata, tutta l’isola era illuminata fantasticamente, e gli ultimi lumi lontani si distinguevano appena dalle stelle scintillanti. Di quella moltitudine, che i meno entusiasti stimano salisse a centoquaranta mila persone, non si vedeva più, ma si sentiva bene la presenza. Tutti erano rivolti alla tribuna sollevata in una gloria di luce e sopra una nuvola di incenso, e quando l’ostensorio fu deposto sull’altare, da vicino e da lontano in onde vaste, lunghe, potenti salirono con impeto di trionfo verso il cielo le note del Te Deum, seguite dal Tantum ergo. Quel canto bastava a sollevare lo spirito. Finito il canto, il Legato pontificio con l’ostensorio in mano, benedisse a ponente e a levante, a tramontana e a mezzogiorno; la città e i villaggi, il cielo e il mare, gli uomini e le cose.

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Il Comitato locale per il Congresso Eucaristico Internazionale di Malta. Al centro il Legato pontificio Card. Ferrata. Alla sua destra l'arcivescovo Pace.

Note caratteristiche

    I congressi eucaristici si somigliano tutti. In essi la parte principale è sempre la stessa: gli omaggi tributati a Gesù Cristo nascosto nel sacramento dell’altare; variano solo le circostanze esterne, la cornice del quadro, lo sfondo della scena. In questa cornice, in questo sfondo Madrid collocherà lo sfarzo delle sue pompe formali, accresciuto dalla presenza del governo e della corte; Colonia collocherà le artistiche bellezze medioevali della sua cattedrale; Montréal la vastità del nuovo mondo; Vienna l’imperiale magnificenza di un potente sovrano cattolico; Malta ha collocato la schietta, e, se si vuole, rude semplicità di cuori sinceramente, profondamente, incondizionatamente cattolici. Altrove sono congressi che entrano nella storia del culto eucaristico come grande fiumi precipitanti in mare con grande fragore e grande spuma; il congresso di Malta potrà paragonarsi a una vena di acqua meno clamorosa, meno abbondante, ma acqua serena, fresca, pura, sgorgante incontaminata dalla prima sorgente. Non si vogliono fare paragoni; però non uno, non due, ma molti e moltissimi hanno ripetuto lo stesso giudizio: sotto l’aspetto religioso e per la parte presa dal popolo, il Congresso di Malta non ha uguali, sta sopra tutti. Esso fu l’opera del popolo, di tutto il popolo senza esclusione, fu l’effetto della pietà e della fede di tutti gli abitanti. Il popolo fece scomparire la distinzione di organizzatori e di esecutori e di spettatori per far rilevare solamente quella di maltesi, e come maltesi tutti contribuirono a gara al risultato magnifico. Che importa se gli stranieri intervenuti furono pochi. Essi non dovevano che sentire e diffondere pel mondo la fragranza di una pietà vera alimentata da una fede incontaminata.

    Se la partecipazione di tutto il popolo, senza alcuna distinzione, se la qualità della sua fede senza contaminazione furono le due caratteristiche principali di queste solennità, ve n’è una terza che merita bene un posto accanto ad esse. Ed è il grado di pubblicità, l’elemento sociale, che ha avuto il culto della Eucaristia. Bellissime e devote furono tutte le funzioni della Chiesa; le numerose comunioni, le adorazioni diurne e notturne. Ma il trionfo più grande in certo modo fu nelle vie di Malta, per le piazze, all’aria libera. Qui Gesù Cristo regnò veramente su tutti e su tutto. Tutto ciò che si vedeva in terra e in mare; tutte le istituzioni pubbliche e private; l’arte e l’industria; le scuole e gli opifici; tutto e tutti furono invitati e aderirono a rendere il loro omaggio al Re comune. Gesù Cristo apparve veramente, manifestamente, gloriosamente il Re, il Sovrano vero del popolo. Il governo centrale stesso, sebbene non prendesse parte ufficiale alle funzioni pubbliche, tuttavia riconobbe in certo modo il loro diritto. Le cortesie usate col cardinale Legato, sono notissime, e son rese più note dalle parole dette dal Cardinale, quando nell’ultimo discorso rendeva grazie alle Autorità dello Stato che dettero «ampie ed indimenticabili prove non solo della loro vigile protezione, ma eziandio della loro cortese e benevola deferenza».

    È facile dedurre da tutto ciò che il Congresso ebbe l’esito più glorioso, giacché raggiunse perfettamente i suoi tre fini di riparazione, per le offese contro l’Eucaristia, di trionfo per Gesù Cristo, di gloria nazionale. Malta rivisse i suoi giorni più belli che sono preludio di tempi migliori. Giacche non è possibile che una manifestazione siffatta si estingua come i fuochi di bengala non lasciando dietro di sé che un vago ricordo, senza un domani. La soddisfazione fu, dunque, generale. Con tutta ragione il Cardinale Legato poteva dire nell'ultimo discorso di chiusura: «In quest’ isola ospitale ed incantevole, noi abbiamo passato giorni veramente lieti e soavi dei quali serberemo grato ed imperituro ricordo. I! nostro Congresso non poteva avere un esito più felice, più splendido, più consolante».

A. Leanza S.I.

da La Civiltà Cattolica, anno 64° 1913 – Vol. 2., pp. 421-449. Il testo originale è stato in parte ridotto e parafrasato.

Nella foto di testa: il porto di La Valletta nel 1913.

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