Eucaristia e uomo nuovo
La scelta di Bombay in India come luogo di celebrazione del 38° Congresso Eucaristico Internazionale fu accolta con gioia anche se non mancarono, nella Chiesa, le perplessità a causa delle difficoltà religiose, economiche e politiche che essa comportava. Cosa spinse Giovanni XXIII a fare questa scelta? La sua innata fede nella provvidenza o la sua accoglienza del soffio dello Spirito Santo? Non lo sappiamo, ma certo la scelta di affidare la celebrazione del “Congresso del Concilio” ad una megalopoli indiana fu un segno di straordinaria fiducia nei cristiani d’Asia e in tutti gli uomini di buona volontà, gesto che Paolo VI volle coronare con la sua presenza inaugurando così i suoi viaggi apostolici al di fuori dell’Europa.
Quali furono le relazioni tra il Concilio Vaticano II e il Congresso Eucaristico di Bombay? Senza voler istituire confronti con gli altri Congressi, si deve sottolineare che il Congresso di Bombay occupa un posto unico, sia perché per la prima volta un Papa vi partecipò di persona, sia perché durante il Congresso si realizzarono alcune di quelle nuovi visioni che il Concilio aveva prodotto, almeno fino alla sua terza sessione. Ciò che più impressionò cattolici e non cattolici furono non soltanto l’ordine e la naturale disciplina con le quali furono condotte le celebrazioni all’Ovale e negli altri luoghi deputati, ma soprattutto lo spettacolo della Chiesa in preghiera, capace di realizzare quanto era stato proposto dalla recente Costituzione sulla Sacra Liturgia.
Uno dei vescovi presenti, Mons. De Smedt di Bruges, in una dichiarazione rilasciata al termine del Congresso, notò che «nessuno dei pellegrini presenti al Congresso potrà dimenticare mai ciò che visse ai piedi dell’altare elevato nel centro dell’Oval. Ma questa gioia inesprimibile non venne soltanto dal fatto di poter celebrare insieme, e anche con il Papa, il mistero della Santa Eucaristia. L’impressione non sarebbe stata così profonda né la grazia così affascinante se gli organizzatori del Congresso non avessero utilizzato le possibilità offerte dal rinnovamento liturgico».
Inoltre, dopo la pubblicazione della Costituzione sulla Chiesa, risaltò particolarmente, durante il Congresso, l’immagine della “Chiesa serva”. A cominciare dai gesti straordinari di Paolo VI che offrì all’Asia l’immagine di un vicario di Cristo – di quel Cristo nato povero - pieno di compassione e più a suo agio negli slums di Bombay che nella magnificenza della corte papale.
Allo stesso modo furono organizzati, durante il Congresso degli incontri con i capi di confessioni non cattoliche e con i rappresentanti delle religioni non cristiane, in accordo con il documento conciliare sull’Ecumenismo che offrì una nuova dimensione alla comunità cristiana. La pratica dell’ecumenismo diede ai Cristiani presenti a Bombay l’opportunità di testimoniare con la loro vita quel rinnovamento della società e degli uomini che essi erano chiamati a costruire in accordo con la loro vocazione.
Di fronte a tutto ciò si capisce che anche gli enormi problemi per organizzare un tale evento in una megalopoli povera del subcontinente indiano in cui i cristiani erano una minoranza assoluta, passarono in secondo piano.
Una famiglia unita
Il tema scelto per il XXVIII Congresso Eucaristico Internazionale di Bombay era «L’Eucaristia e l’uomo nuovo». Tale tema rispecchiava esattamente gli anni del Concilio e richiamava le grandi speranze che si intrecciavano in quegli anni, speranze certo di un’umanità rinnovata interiormente ma anche capace di costruire un mondo migliore, senza più guerra ne fame.
In questo senso si esprimeva Paolo VI nel suo breve intervento davanti ai giornalisti durante il volo che lo conduceva in India: «Voglia il cielo che le nazioni cessino la corsa agli armamenti, e dedichino invece le loro risorse ed energie all’assistenza fraterna delle nazioni sottosviluppate. Ogni nazione, coltivando “pensieri di pace e non di afflizione” e di guerra, metta a disposizione una parte almeno delle somme destinate agli armamenti per costituire un grande fondo mondiale diretto a sovvenire alle molte necessità di nutrimento, di vestiario, di case e di cure mediche che affliggono molti popoli. Dall'altare pacifico del Congresso Eucaristico, questo nostro grido angosciato raggiunga tutti i governi del mondo, e possa Dio ispirarli per intraprendere questa pacifica battaglia contro le sofferenze dei loro fratelli meno fortunati!».
I lavori del Congresso, orientati da questo tema, si concentrarono ogni giorno su conferenze pubbliche, celebrazioni, visite di carità ed eventi culturali. Al mattino, alle ore 10, alla University Convocation Hall si tennero, per tutta la settimana, riunioni di studio intorno al tema proposto. Nel pomeriggio, alle ore 17,30 si celebrava l’Eucaristia. Una costante corrente di popolo, alla quale i pittoreschi sari delle donne aggiungevano calore e allegria, si muoveva l’Oval, la grande piazza del Congresso circondata da palme e da una cortina di bandiere dai colori più fantasiosi. Al centro, su un alto podio era posto il grande altare bianco con quattro alti vertici che richiamavano le ali di un gabbiano o una piramide slanciata verso il cielo terso per inviarvi le preghiere provenienti dai quattro punti cardinali. Una croce luminosa dominava l'immensa assemblea. Un’assemblea, bisogna ricordarlo, sempre calma e composta, disposta al silenzio rispettoso e all’ordine e capace di trasformarsi, con naturalezza, in un’ assemblea liturgica fraterna.
Nello sfondo dominante del bianco, i colori più festosi degli abiti svolazzanti palpitavano sotto i fasci dei proiettori nella luce del tramonto, aiutando a cogliere l’unità di quella grande assemblea. Per tutta la settimana del Congresso la folla più varia del mondo per razze, lingue, cultura e costumi di vita, formò la famiglia più unita, più vera, più sincera di tutta la terra.
Prima della celebrazione avevano luogo le “visite di carità”. I partecipanti al Congresso ebbero l’occasione di visitare malati negli ospedali, orfanotrofi, ricoveri, carceri, istituti per ciechi. Tali visite si conclusero sabato 5 dicembre con numerosi incontri familiari organizzati nelle grandi parrocchie come negli slums più dimenticati; essi riunirono insieme cattolici e non cattolici , indiani e stranieri, ricchi e poveri, per un pasto comune consumato in fraternità.
Domenica 29 novembre. La « Statio Orbis» che a partire da Monaco caratterizzava il Congresso, fu celebrata all’inizio dell’evento mondiale e non alla fine come si usa oggi. Il Cardinale arcivescovo di Bombay, Valerian Gracias rivolse alla folla l'invito alla mensa del Signore. E mentre il coro cantava le parole profetiche di Isaia e i versetti del salmo 86, entrarono con solennità le delegazioni di tutto il mondo ponendosi intorno all'altare. Uno squillo di trombe annunciò l'arrivo di S.E. il Card. Agagianian, Legato Pontificio. Le acclamazioni al Papa, al suo Legato, all'Arcivescovo, al clero, al popolo cristiano, furono accompagnate dal canto di tutta l'assemblea a Cristo vincitore, re, signore universale. Davanti all'altare, il Cardinale Legato, accese un cero benedetto dal Santo Padre, cero che continuò ad illuminare tutte le cerimonie del Congresso.Durante la Messa concelebrata, il Legato ricordò nell’omelia che «i pensatori delle più nobili religioni d’ogni Paese hanno sempre considerato l’unione con Dio come lo scopo supremo della vita umana… Più che ogni altro Paese l’India ha dato l’esempio di questa lunga e appassionata ricerca di Dio e del desiderio di una totale comunione con Lui». E concluse mostrando la grandezza del culto cristiano che trova il suo centro nell’Eucaristia.
Lunedì 30 novembre. Nello scenario dell'Oval, capace di disporre l'anima alla commozione e alla comprensione delle cose soprannaturali, si celebrarono i sacramenti della iniziazione cristiana con l'amministrazione del Battesimo e della Cresima a un gruppo di bambini e di ragazzi.
Martedì 1 dicembre. Nella mattinata si celebrò la Messa di Prima Comunione per 3.600 bambini nello stadio Cooperage. Alle cinque del pomeriggio, alla piazza Oval, si tenne una grande celebrazione eucaristica in rito Siro-Malabarico con l’ordinazione di 130 nuovi sacerdoti. Il rito Siro-Malabarico è il rito di quei cristiani – particolarmente presenti in Kerala - che si rifanno direttamente all’evangelizzazione primitiva dell’India dovuta, secondo la tradizione, a san Tommaso. Vi assistettero anche il Legato Pontificio e l’Internunzio apostolico in India.
Mercoledì 2 dicembre. Nel corso della liturgia del pomeriggio, vennero ordinati 110 nuovi sacerdoti di rito Latino davanti ad una piazza stracolma con più di 200 mila fedeli. Al termine dell’ordinazione giunse all’Ovale Papa Paolo VI che benedì i nuovi sacerdoti.
Giovedì 3 dicembre. Con la presenza del Papa Paolo VI, il Congresso assunse la grandiosità di una celebrazione mai vista fino ad allora. La sera di giovedì, festa di San Francesco Saverio apostolo delle Indie, Paolo VI, davanti a mezzo milione di persone, ordinanò personalmente cinque nuovi Vescovi provenienti dai cinque continenti. Dopo aver percorso l’assemblea a bordo di una semplice jeep bianca, il Papa salì i gradini dell’altare. Il Cardinale Gracias lo accolse così: «Noi diamo il benvenuto a Sua Santità il Papa Paolo VI nel nostro Paese. Egli potrà sperimentare personalmente la vita spirituale del nostro Paese e il lavoro della Chiesa Cattolica». Nella sua omelia il Papa diede voce alle sue riflessioni sul mistero eucaristico e sul ministero episcopale e, rivolto ai nuovi vescovi, terminò così: «Andate, ora, pastori, su tutte le strade della terra; andate e rivelate ai popoli la oro dignità, la loro libertà, la loro missione sulla terra. Voi segnerete ciascuna ora della storia umana fino alla fine dei tempi, con questo supremo desiderio e questa suprema certezza: Vieni Signore Gesù».
Venerdì 4 dicembre. La liturgia eucaristica fu celebrata all’Oval nel rito Siro-Malankarese, rito popolare in cui la partecipazione dei fedeli ha largo spazio visto che un buon terzo della funzione viene recitata o cantata dal popolo. Anche questo rito si riallaccia all'antica comunità cristiana del Kerala. La celebrazione fu presieduta dallo stesso Santo Padre che nella sua omelia ricordò l’unità dei credenti nella varietà dei riti. Dopo la messa, alle 7.30 della Sera, Paolo VI benedisse i malati con una grande croce lignea. In continuazione, sempre sulla piazza dell’Oval, alle 9,30, si celebrò la Via crucis guidata da Paolo VI che alla dodicesima stazione prese in mano la croce e la tenne fino al termine quando con essa benedì i presenti.
Sabato 5 dicembre. La riflessione del giorno si incentrò su Eucaristia e sacramento del matrimonio. Il Papa non fu presente alla grande celebrazione nell'Oval, perché era partito a mezzogiorno. Durante la Messa per gli sposi, celebrata dal Cardinale Legato, furono unite in matrimonio 35 coppie di sposi con l’utilizzo della nuova formula «Io ... prendo te ... per mia legittima moglie (mio legittimo sposo), per averti con me, da oggi in avanti, nella prospera come nell'avversa fortuna, nella ricchezza o nella povertà, nella salute e nella malattia, finché la morte non ci separi».
Domenica 6 dicembre. Solenne chiusura del Congresso. Nello scenario incomparabile della piazza dell’Oval, alle ore 5,30 del pomeriggio, il Cardinale Legato concelebrò la Messa finale con un gruppo di vescovi rappresentanti tutti i continenti. All’inizio della celebrazione, dall’altare presero il volo centinaia di bianche colombe. Nella sua omelia il cardinale Agagianian, commentando le letture della Messa votiva del Santissimo Sacramento, tra le altre cose disse: «Noi ci rallegriamo in questo grande abbraccio della Madre India, la antica eredità spirituale ed il cui impegno nelle cose di Dio rimangono ancora vitali e apportatrici di futuro».
Al termine della Messa, a partire dalla piazza gremita all’impossibile, partì la processione eucaristia al cui centro c’era il carro trionfale con l’Eucaristia. Tutti tenevano in mano una candela accesa. «Andiamo per le vie della città - disse il cardinale Gracias - tenendo in mano un cero acceso per ricordarci del dovere che abbiamo di manifestare al mondo la realtà della vita di Cristo in noi e di mostrate a tutte le genti il viso amabile di Gesù Cristo».
Ai piedi dell’ostensorio stava, in ginocchio, il Cardinale Legato. Senza parate militaresche né sbarramenti di transenne o di picchetti armati, in un incredibile ordine la processione di più di 200 mila fedeli si diresse verso la Gateway of India, il grande arco trionfale di pietra costruito al porto di Bombay nel 1911 per accogliere il re Giorgio V.
Quando il Cardinale Legato, sotto le volte maestose della “porta dell'India” elevò l'Ostensorio sulla folla in ginocchio per benedire, nel silenzio immenso si sentiva lo sciabordio dell'Oceano che lambiva la base del maestoso monumento, divenuto per l'occasione il baldacchino d'onore per l’Eucaristia. Le ultime parole di saluto furono quelle del Cardinale Arcivescovo: «Possa la fiamma di questo rinnovamento spirituale che è stata riaccesa nei nostri cuori durante questa settimana eucaristica, diffondersi da casa a casa, da diocesi a diocesi, da nazione a nazione e da un continente all’altro affinché, attraverso il nostro sforzo comune, le tenebre dell’odio e dell’animosità che dividono gli uomini e avvelenano le relazioni umane possano in qualche misura cambiarsi in un impegno per la costruzione di un mondo nuovo».
L’ostensorio d’oro usato durante la processione finale, fu donato, come memoriale del Congresso, alla Cappella del Santissimo Sacramento di Colaba dove i padri Sacramentini assicuravano l’Adorazione perpetua.
Paolo VI e l’umanità del popolo indiano
La memoria del 38° Congresso Eucaristico Internazionale resterà per sempre associata al pellegrinaggio a Bombay di Paolo VI. Il Papa stesso lo aveva annunziato ai padri conciliari che nella terza sessione del Concilio avevano rivolto a tutti i fedeli l’invito a essere «infiammati dal desiderio della diffusione del regno di Cristo».
Se l’occasione del viaggio era stata la partecipazione al 38° Congresso eucaristico internazionale che si svolgeva in quella terra all’inizio del mese di dicembre del 1964, il pellegrinaggio assunse la fisionomia di un vero e proprio viaggio missionario, il primo di un Papa in Asia, per avvicinarsi «al grande popolo indiano che è come l’immagine delle numerose genti e nazioni di quel continente».
Nel pomeriggio del 2 dicembre 1964, lungo la strada che portava dall’aeroporto alla sede del Congresso, una folla immensa (più di due milioni di persone) stretta in un unico gesto di saluto accolse l’illustre pellegrino. Nel cuore del Papa c’era la perenne preoccupazione per la pace, la giustizia, la fratellanza dell’umanità intera, e in particolare per questo popolo, per le «sterminate genti dell’India immensa e con esse quelle dell’Asia intera». Nel radiomessaggio per il Natale di quell’anno, Paolo VI ricordò ancora con meraviglia e gratitudine quella gente «non cattolica, ma cortese, aperta, avida di uno sguardo e di una parola dell’esotico visitatore romano, quale noi eravamo».
Celebrando l’Eucaristia all’Oval, dove consacrò sei vescovi, espresse la sua fede commossa nella presenza di Gesù «amico dell’uomo, maestro, pane di vita, salvatore» citando alcuni versi di una poesia di Tagore, figlio di quella terra: «Giorno dopo giorno, o Signore della mia vita, starò io davanti a Te faccia a faccia? Con le mani giunte, o Signore di tutti i mondi, starò io davanti a Te faccia a faccia? Sotto il tuo immenso cielo, nella solitudine e nel silenzio, starò io davanti a Te faccia a faccia? In questo tuo mondo affaticato di pena e di lotta, tra le folle affrettate, starò io davanti a Te faccia a faccia?». Incontrando le autorità del Paese, congratulandosi con loro, esaltò l’impegno e la tensione di giustizia dei protagonisti dell’India moderna, Gandhi e Nehru.
Il pensiero della pace nel mondo intero ispirò tutti i suoi discorsi: ai nuovi vescovi chiese: «Andate, pastori, su tutte le strade del mondo, andate a rivelare ai popoli la loro dignità, la loro libertà, la loro missione!». E siccome «ombre minacciose continuano a pesare sul mondo, a turbare gli animi di buona volontà, a paralizzare le energie oneste e costruttive», rivolse al mondo intero il suo appello accorato: «Noi scongiuriamo tutti coloro la cui azione può essere determinante per conservare e consolidare la pace nel mondo, a misurare la gravità della loro responsabilità, e a fare di tutto per impedire lo scoppio di un nuovo cataclisma».
Prima di lasciare il territorio indiano, ringraziò le autorità e affida la sua automobile a Madre Teresa per aiutarla nelle sue opere di bene a favore dei poveri. Piccolo segno della sua perenne attenzione per i più bisognosi che un mese prima lo aveva spinto a rinunciare alla tiara e offrirla perché se ne ricavasse una somma da destinare a questo medesimo scopo.
Tornato a Roma, nell’udienza generale del 9 dicembre, disse apertamente: «Bisogna che ci facciamo un concetto più adeguato della cattolicità della Chiesa, che abbiamo un desiderio più largo della fratellanza umana a cui essa ci educa e ci obbliga, e che affrontiamo con maggiore coraggio apostolico le questioni relative alla presenza della Chiesa nel mondo».
Dopo 22 anni, Giovanni Paolo II, il 9 febbraio del 1986, tornato negli stessi luoghi ricordò: «Leviamo questa voce nel luogo in cui, circa vent’anni fa, Papa Paolo VI era con voi durante il Congresso eucaristico internazionale di Bombay. Quell’importante occasione segnò il primo momento nella storia in cui un successore di san Pietro ha fatto visita alla vostra patria. Al termine di quelle storiche giornate, Paolo VI espresse la sua ammirazione per il popolo dell’India e di questa città con queste parole: “Nel nostro ricordo Bombay rimarrà il simbolo e il compendio del grande continente asiatico, con le sue antiche culture e tradizioni, con le sue immense popolazioni, con il suo ardente desiderio di pace”».
Nella foto di testa: Paolo VI percorre, su una jeep bianca, l'immensa moltitudine che gremisce la piazza dell'Oval, a Bombay.